Il commissario, la segretaria e l'usciere
- Nico Carrato
- 18 nov 2020
- Tempo di lettura: 2 min
Sembra di trovarsi sul set di un film con un titolo da commedia equivoca degli anni 70, ma le immagini e gli eventi sono reali, e illustrano l'improvvisazione faticosa di una parte del Paese chiamata ad arginare il contagio da corona-virus.
La location è un ufficio regionale di un commissario di governo. Vi si accede attraverso il punto di vista di un giornalista. E' la sua coscienza civica a fornirci la lente per interpretare, senza distorsioni, un contesto refrattario a farsi interrogare, per disimpegno o, peggio, incompetenza.
Per tutto il tempo è lui a tenere la barra dritta di un dialogo che de-grada in un triangolo tragicomico, dove personaggi-mascher(in)e inscenano una farsa per opporsi ad un assedio condotto con penna e taccuino.
Prima delle parole, la scenografia rilascia segni inequivocabili.
Il mobile da ufficio a vetrina, in noce, disadorno, con oggetti solitari, qualche volume appoggiato, non collocato, restituisce trascuratezza e sciatteria.
Il vuoto alle spalle esalta, per contrasto, il pieno caotico della scrivania, quasi interamente ricoperta da fogli, documenti, oggetti di cancelleria sovrapposti senza alcun ordine.
Tutti indizi che non promettono nulla di buono, se non il nulla delle conoscenze di un commissario incapace di formulare una risposta nel merito - i dati reali - e, impreparato, arrossendo, cincischia tra le carte.
E si nasconde dietro il lessico da burocrate - non mi sono documentato; a stretto giro - e l'uso di tempi verbali al presente - stiamo verificando; ci siamo - sbugiardati dall'attualità.
Ingenuo e vile, ministeriale e pretenzioso, con l'indice puntato verso il disordine della scrivania, sollecita l'intervento solidale e informato di una sua sottoposta, una segretaria. Voce ferma, scaltra, la donna si dichiara indisponibile a fargli da spalla.
La solitudine del funzionario è così amplificata. La matassa ancora da sbrogliare ritorna tra le sue mani. Le parole, quelle del burocrate, ora, mancano del tutto e si abbruttiscono. Braccato, invoca indulgenza ricorrendo ad un'espressione dispregiativa, rivolta a se stesso, a testimoniare una debole consapevolezza e un cedimento sempre più scomposto.
Qualcuno, però, accorre per tirarlo provvisoriamente fuori dall'imbarazzo.
Una voce non ben identificata irrompe nel campo sonoro.
Il contraltare invisibile del commissario, un impiegato, tra i presenti con le mansioni più basse, riafferma - folgorazione straniante - un principio di presunta verità.
E dispensa numeri, dei quali, però, meglio non rivendicare la paternità.
In una realtà sottosopra dove le funzioni non corrispondono ai ruoli, e i caratteri si rivelano facendosi beffa degli stessi interpreti.
In una commedia dove si sorride seriamente, mentre il paradosso accompagna il senso civico all'uscita.
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