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Rossellini, il nero e lo sporco

  • Immagine del redattore: Nico Carrato
    Nico Carrato
  • 2 lug 2020
  • Tempo di lettura: 2 min

Aggiornamento: 9 ago 2020

Anni 70. Roberto Rossellini, in un'intervista radiofonica, viene invitato a parlare della sua formazione ideologica. In premessa fa riferimento alla difficoltà oggettiva di accedere, durante la sua gioventù, agli strumenti di conoscenza - media e organi di stampa, sono gli anni '20 del 1900 - per poter maturare un'opinione consapevole, su fatti e personaggi, capace di abbracciare la realtà nella sua completezza.

Il giornalista lo incalza per farlo venire subito al punto: "Allora, Rossellini, la sua formazione antifascista?". Siamo a cavallo tra gli anni '60 e i 70, anni fortemente ideologici e di contrapposizioni radicali: il giornalista probabilmente attende una risposta 'manifesto', politicamente orientata, dal padre del neorealismo cinematografico, al quale, cordialmente spazientito, sembra più opportuno citare il suo di padre e un episodio della sua adolescenza, all'alba del ventennio fascista.


Roma. Sono affacciato al balcone di casa, insieme a mio fratello, mentre in strada si andava formando un'adunata di uomini in camicia nera, un fiume umano che via via si ingrossava sempre di più, con l'arrivo di persone affluenti dalle vie laterali. Richiamato dal vociare che saliva dalla strada, papà ci raggiunge e, appoggiandosi alla ringhiera, si protrae in avanti, coprendo con lo sguardo, da sinistra a destra, tutta l'immagine sottostante. Poi, mani ancora sulla ringhiera, si volta verso di noi: "Ricordate, ragazzi miei, il nero nasconde bene lo sporco". Questa - conclude Rossellini - é stata la mia formazione antifascista".

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Nessuna lettura memorabile, né citazione colta, né padri politici nominati. Quella che al giornalista, deluso, sembra una non risposta, una mancanza intellettuale, diventa invece un'occasione preideologica per accedere ad una comprensione della realtà, lontana da gabbie e sovrastrutture di pensiero a cui accordare i fatti in ossequio a questa o quella visione politica.

Abbiamo un balcone - non quello di Piazza Venezia - senza padri della Patria, ma con un papà (magari rientrato dopo una giornata di lavoro) e due fratelli. Un fatto presente - un corteo - attiva in prevalenza il senso della vista. Ne segue un'interpretazione istintiva, senza pose paternali da "spiegone" - chi, cosa, dove, quando, perché - , che aggancia un livello immediato, non mediato, della realtà attraverso la semplice percezione di un colore.

Il tono protettivo, rafforzato dall'aggettivo possessivo, circoscrive un'appartenenza genuina e il desiderio di trasmettere un'attenzione e una visione, letterale e metaforica, della vita. E l'immagine a cui attinge non è minacciosamente fiabesca, l'uomo nero, ma concreta e vera, una chiamata non alle armi, ma a un bagno di realtà attraverso l'esercizio di una visione penetrante. E' un invito a coltivare una memoria sensoriale capace di vedere l'invisibile, di andare oltre la dominanza di un non-colore, dove si può annidare quel sudiciume che dagli abiti fa presto a intaccare la pelle, le coscienze.


[ndr. Non viene citata nell'intervista, ma la famiglia Rossellini abitava

in Via Ludovisi, Roma, dove aveva la sede l'hotel in cui risiedette Benito Mussolini, nel 1922.]



 
 
 

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