Mantegna, Goethe e l'invidia
- Nico Carrato
- 30 nov 2020
- Tempo di lettura: 2 min

Padova, 27 settembre 1787.
Un viaggiatore annota nel suo diario la visita presso la Chiesa degli Eremitani.
Si sofferma nella cappella che ospita gli affreschi di Andrea Mantegna, i quali - scrive - mi recarono propriamente meraviglia. Non si può dire quanta evidenza, quanta verità vi sia in quei dipinti! Da questa verità, la quale nulla ha di apparente, di convenzionale, ma che parla soltanto all’immaginazione, trassero le loro origini i pittori che vennero dopo, quali io li avevo veduti già nelle opere del Tiziano, ed allora la forza del loro genio, illuminata dal genio dei predecessori, valse a sollevarli dalla terra, ed a renderli capaci di produrre figure propriamente celestiali. Tale si fu lo sviluppo dell’arte in Italia dopo i tempi della barbarie.
Una nota ben scritta con un periodo lungo. Si arriva alla fine della lettura con poco fiato coerente, però, con lo stupore suscitato da una visione mozzafiato. Per tanta verità rivelata in una sola occasione. L'immaginazione, alimentata da visioni avute in una tappa precedente (Tiziano, Venezia?), stabilisce, entusiasta, discendenze e debiti artistici. Sullo sfondo il riconoscimento del genio italico riemerso dopo anni da un buio creativo e distruttivo.
C'è da fidarsi? L'autore di questa nota di viaggio è un tedesco - Johann Wolfgang Goethe - colto in una delle tappe del suo viaggio nel Belpaese.
Conviene fidarsi, non tanto per il nome prestigioso, ma perché quanta verità a lui fu concessa di vedere, a noi, oggi, è in gran parte impedita. Altre barbarie, imprevedibili al tempo di Goethe - i bombardamenti della seconda guerra mondiale, marzo 1944 - hanno irrimediabilmente compromesso l'affresco nella sua completezza.
Il restauro, realizzato con sofisticate tecniche di digitalizzazione, su base fotografica, restituisce una visione divisa, tra i colori dei frammenti resistenti alla bombe e il chiaroscuro della ricostruzione virtuale, aggiunta in completamento delle parti mancanti.
Visibile e invisibile entrano in competizione nello sguardo, i colori vivi e veri, come delle macchie, sembra vogliano distendersi sulla superficie pittorica incolore, per riaffermare quella integrità espressiva concessa agli occhi di Goethe. Verso il quale è legittimo provare un sentimento di invidia, puro, nel suo significato base (vedere/male ), e stimolante per chi come lui sa ancora ascoltare, e conserva il coraggio di immaginare.

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