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La coscienza collettiva e il mestiere di far morire

  • Immagine del redattore: Nico Carrato
    Nico Carrato
  • 28 lug 2020
  • Tempo di lettura: 2 min

Aggiornamento: 18 dic 2020

Due sequenze, inizio e fine di un processo.

La camera, in strada, in prossimità dell’ingresso del tribunale, riprende alcuni degli uomini che andranno a sedersi tra i banchi degli accusati. Uomini in giacca e cravatta, funzionari, impiegati, semplici cittadini. Qualcuno non gradisce la presenza della camera e rovescia reazioni irte di risentimento sullo sguardo “indagatore” di ciascun spettatore che assiste a questa processione laica.

Siamo a Francoforte, è il 20 dicembre 1963. Il procuratore Fritz Bauer ha raggiunto il suo obiettivo: processare il campo di sterminio di Auschwitz di fronte alla giustizia tedesca. Dopo il processo di Norimberga, per la prima volta dei tedeschi giudicano i tedeschi coinvolti nell’oscenità dei campi di sterminio. E’ un momento fondamentale per la nazione intera, per prendere coscienza in maniera autonoma dei crimini compiuti durante il regime nazista. Occorre far uscire dall’ombra, accendendo anche le luci dei media, ciò che si ostina a perseverare nella società in maniera apparentemente innocua, dietro la parvenza della normalità.

Nella seconda sequenza, a verdetto sancito, la camera indugia in maniera serrata su alcune delle 22 persone operative ad Auschwitz, condannate alla fine del processo. L’effetto riflessivo e dirompente non è dato dai numeri degli anni inflitti a ciascuno degli uomini ripresi, ma è provocato da quello che non si vede, l’identità mancante - la divisa da gerarca nazista - in conflitto con il visibile, la “divisa” borghese, giacca e cravatta, che genera uno straniamento profondo allo stesso spettatore prima messosi al riparo dalle loro reazioni veementi in strada. E ancora in strada, andatura agile, sobria, li ritroviamo, alla fine, mentre la voce fuori campo e la parole sovraimpresse, amplificano il senso di smarrimento di spettatori, disorientanti e privilegiati, che incrociano lo sguardo di uomini consapevoli di aver scelto un mestiere in cui normalità non è sinonimo di vita.


p.s. Da questo processo il drammaturgo tedesco Peter Weiss ne trarrà la celebre opera teatrale L’istruttoria (1965)

 
 
 

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