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Il Cenacolo e la porta sotto il tavolo

  • Immagine del redattore: Nico Carrato
    Nico Carrato
  • 1 set 2020
  • Tempo di lettura: 3 min

Finalmente il Cenacolo di Leonardo da Vinci visibile, colpa e merito del covid 19, senza prenotazioni con tempi biblici. Breve attesa sotto un sole pallido di un pomeriggio milanese di fine agosto, con un alto tasso di umidità. Quella stessa umidità che ha reso l'opera, sin dalla sua realizzazione - tra il 1494 e il 1498 - particolarmente fragile, insieme alla tecnica a tempera usata da Leonardo, meno resistente della pittura a fresco.

Voluta dai frati domenicani del santuario di Santa Maria delle Grazie, L'ultima cena, la prima in assoluto per forza associativa della narrazione del fatto biblico, riveste una delle pareti centrali del refettorio e nasce con l'intenzione di offrire un'immagine speculare, e sacra, della convivialità dei frati impegnati nella consumazione quotidiana, e prosaica, dei loro pasti. Le pareti laterali, disadorne e buie, rafforzano per contrasto l'incontro con l'opera che lascia percepire di sé, nell'immediato, la coltre di opacità - fascino della visione e precarietà della tecnica - che l'avvolge e la rende suggestiva. La continuità delle linee di fuga tra spazio reale e immaginato, e la luminosità delle finestre, poste alle spalle dei commensali, sono solo alcuni dei dettagli che conferiscono profondità, non solo prospettica, alla rappresentazione e al luogo fisico del refettorio. Si attiva cosi un contesto percettivo che dematerializza la parete del refettorio e riconosce come unico limite sensibile la parete interna al dipinto. Si forma un unico ambiente che genera una prossimità, quasi una complicità, tra il dentro e il fuori la rappresentazione. Al di là della narrazione interna - il momento sconvolgente in cui Gesù rivela ai discepoli la presenza di un traditore - i committenti, i frati, desideravano proprio questo: sedersi, avvicinarsi il più possibile, ad una delle tavole più famose (non solo) della storia della cristianità.

Qualcosa di inconsueto, data la centralità indistinta assegnata alla figura di Cristo, però, non si lascia percepire nell'immediato. Sotto il tavolo, sempre in posizione centrale, non compaiono più, come era stato progettato e raffigurato da Leonardo, i piedi di Gesù. E nulla ha potuto recuperare, a riguardo, l'ultimo restauro. Uno spazio oscuro rettangolare, bianco incorniciato, dal limite in basso del pavimento, sale e penetra nel dipinto, ponendosi al confine con la tovaglia che ricopre la sacra tavola. Il segno particolare è Il perimetro di quella che un tempo era una porta fatta aprire nella parete (e nel dipinto) dagli stessi frati, durante il 1600. Operazione che, compiuta oggi, non esiteremmo a definire un crimine contro il patrimonio artistico. E' opportuno, tuttavia, sospendere qualsiasi giudizio anacronistico e, senza intraprendere percorsi interpretativi misterici, affermare che la scelta fu intrapresa per soddisfare un bisogno pratico: collegare direttamente la cucina, già confinante, al refettorio. Non bastò quindi il soddisfacimento di un bisogno interiore, reso possibile dall'arte, occorreva, concretamente, completare il processo di dematerializzazione di una sezione della parete. La ricerca del confort dei frati - un passaggio rapido tra due ambienti - sembra, quindi, si sia imposta su ragioni estetiche. Sotto la tavola de l'Ultima cena, immaginiamo, un tempo, l'andirivieni quotidiano dei frati impegnati nella preparazione del cibo e nell'immediata condivisione tra i tavoli del refettorio. Oggi di quella transizione resta solo una traccia visibile, di un tempo in cui, per necessità concrete, non si esitava a fare breccia nell'arte. Oggi non si odono più i rumori delle stoviglie dei frati e i loro passi felpati nel refettorio, la cui funzione resiste esclusivamente nel capolavoro di Leonardo, dove si celebra l'ultimo pasto ancora e per sempre consentito. L'arte, alla fine, ha avuto ragione (ed emozione) sulla realtà, le tre finestre, ancora aperte, continuano a illuminare la scena, una porta buia si è chiusa per sempre. Uno sguardo disposto a lasciarsi attraversare dall'arte, ora, è tutto ciò che occorre.

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