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La Casa Mancante e il permesso di soggiorno

  • Immagine del redattore: Nico Carrato
    Nico Carrato
  • 5 set 2020
  • Tempo di lettura: 2 min

Aggiornamento: 15 lug 2021


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Dettaglio. Una targa affissa su un muro cieco di una palazzina. Trascritti: un arco temporale (1933-1942) un nome (H. Budzislawski) e un mestiere (Geflughelhandlerin). Quest'ultima informazione - operaio in un'azienda per la lavorazione del pollame - ci fa escludere che gli anni sopra riportati siano di nascita/morte.


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E cosi sono tante le targhe disposte su questa e sulla parete di fronte: forbice temporale ristretta, nome e mestiere. Ovviamente una targa registra una presenza passata, e da ricordare. Gli anni in questione cadono durante e alla fine della seconda guerra mondiale. Altro particolare, il cognome Budzislawski è di chiara discendenza ebraica.

Dal particolare abbracciamo una visione d'insieme. Ci troviamo a Berlino in Grosse Hamburger Strasse 15 e il vuoto aperto tra le due palazzine, scopriamo, fu causato dai bombardamenti aerei che determinarono il crollo degli appartamenti che si alzavano dal terreno. Chi già deportato o chi scomparso nel crollo, i nomi, posti sulle parete rese cieche dalla brutalità di alcuni esseri umani, appartengono agli inquilini di uno stabile, mai più ricostruito. Le date corrispondono, quindi, al periodo di permanenza di ciascuno in quel domicilio. E le targhe sono collocate all'altezza dei piani, e delle singole abitazioni, dove tedeschi e ebrei, insieme, conducevano la loro normale esistenza domestica, prima che una pioggia di bombe interrompesse le loro vite in modo irrimediabile. Non sono quindi nomi di artisti dalle gesta degne di essere tramandate, ma di comuni cittadini, la cui identità viene raccontata attraverso la cifra di un mestiere umile (facchino, impiegato, falegname, sarta...), l'abilità del fare e il talento di ciascuno.


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Però vi è un'artista - Christian Boltanski, 1990 - dietro il recupero di questi nomi, non memorabili ma da ricordare, per arginare sia il rischio dell'oblio che una tendenza alla sterile ricostruzione posticcia. Chiunque, dopo aver scansato un possibile pensiero ingenuo e immediato -"Non c'è niente da guardare!?" - e lo smarrimento di trovarsi di fronte a un vuoto, può scoprire, gradualmente, che c'è tutto da immaginare.

Muri ciechi e parlanti, fatti di segni capaci di rendere visibili vite passate, dotate, oggi, di un permesso di soggiorno senza più data di scadenza, uomini e donne per sempre inquilini di una Casa Mancante. Una ferita aperta nella storia e uno spazio fecondo di immaginazione dove chiunque - una segretaria, un'insegnante, un macellaio... - può permettersi di transitare a piedi o in sella ad una bici.


 
 
 

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