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L'arte e la memoria sotto i piedi

  • Immagine del redattore: Nico Carrato
    Nico Carrato
  • 17 ago 2020
  • Tempo di lettura: 2 min

Aggiornamento: 15 set 2020


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Un luogo, due date, una ristrutturazione e una rimozione. E un gesto a congiungere storia e arte, passato e presente.

Siamo a Venezia nel 1938, ai Giardini della Biennale si inaugura il rifacimento del padiglione tedesco, in ossequio ai canoni dell'estetica nazista. Colonne possenti, linee rette, forme squadrate, rigore: tutto si ritrova intatto ancora oggi nella sacralità della facciata sovrastata dall'intestazione Germania. Tranne un particolare non trascurabile: è scomparso il pavimento in marmo monumentale scelto dal regime .

Ci spostiamo all'interno, compiendo un salto temporale indietro, 1993,

per recuperare visivamente, e nella memoria, un'installazione temporanea di Hans Haacke


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Il nome del Paese è lo stesso ma al di sotto dell'iscrizione, per terra, troviamo calcinacci e lastre di marmo spezzate. Ecco, dove è finito quel pavimento: Haacke l'ha fatto rimuovere e ne ha riutilizzato i resti. Una rimozione precede un'installazione, nello stesso edificio, con lo stesso materiale ma con un rovesciamento simbolico. Se la monumentalità del regime ci obbligava ad avere uno sguardo grandioso, verso l'alto, adesso accade esattamente il contrario: occhi remissivi vanno in direzione opposta, a terra, a incrociare le macerie di una falsa e oscena grandiosità. Non vi sono tracce da leggere e vedere, con un approccio da memoriale, a testimoniare, didascaliche, gli orrori del nazismo: ci sono materie, già prime, ora ultime, a dare l'idea di un un post terremoto della storia. E di fronte ad una catastrofe del genere non può esserci un percorso guidato e sicuro per attraversare questo spazio. Occorre, però, il coraggio di fare un gesto banale - camminare - per ultimare pienamente l'opera e diventare, ciascuno per sè, artefice e destinatario di una memoria in azione. Una volta dentro, poi, è da ingenui aspettare di incrociare un cartello Attenti a dove mettete i piedi . Anzi, i piedi vanno messi ovunque, bisogna calpestare quel pavimento divelto, quelle lastre di marmo frantumate e, continuando l'opera (d'arte) di distruzione, sentire - tatto e udito - le storture e le disarmonie della storia.


 
 
 

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