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Il pomodoro è passato

  • Immagine del redattore: Nico Carrato
    Nico Carrato
  • 6 set 2020
  • Tempo di lettura: 1 min

Aggiornamento: 10 set 2020

Un tranello ordito dalla dirimpettaia si sta per compiersi sul pianerottolo dell'abitazione di un uomo, appena rincasato. Lei inquieta e calcolatrice, lui riservato e solitario.

Passi felpati, sacchetto color avana per alimenti e un frutto della natura, in più esemplari, irrompe sulla scena. Verrebbe da citare Neruda con la sua Ode al Pomodoro, ma non è una strada, è invece una scala a riempirsi di pomodori. Dall'alto in basso, la rotondità di ciascuno disegna linee e curve che terminano il loro percorso intorno ai piedi dell'uomo, irretito dal rumore sordo dei gradini di legno e da un rosso accesso e ridondante.

L'esca sembra aver funzionato, la donna, compassata, compie lo stesso percorso, prima il suono secco dei suoi tacchi, poi la sua figura intera si palesa alla vista dell'uomo.

Il linguaggio adottato, fintamente formale, è l'anticamera di un atteggiamento sfrontato.

Già pronta a chinarsi per recuperare e ostentare il suo raccolto abbondante, consapevole di lasciarsi inseguire da uno sguardo maschile vinto dalle rotondità ammiccanti di una natura, adesso, tutta umana. Sfacciata, reclama spazio intorno a un corpo, già statuario, che indietreggia, respiro corto, indeciso se resistere o abbandonarsi all'eros di una visione apparsa, spudorata e improvvisa, proprio innanzi alla porta di casa.

L'uscio è aperto, c'è forse la possibilità di mettersi in salvo.

Nel frattempo, però, il pomodoro senza corazza, senza spine, con la sua insigne pienezza, con il suo colore focoso (Neruda) ha davvero completato il suo percorso, attivando un processo irreversibile.



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