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Fellini e il Senso del Fascismo

  • Immagine del redattore: Nico Carrato
    Nico Carrato
  • 9 ott 2020
  • Tempo di lettura: 1 min

Aggiornamento: 7 mag 2021

Accogliere la contraddizione della vita con consapevolezza. Sgombrare il campo dal giudizio e sorridere, indulgente, quando si aggancia il livello primario e profondo dell'esistenza. Attivato dai sensi e trasfigurato dalla nostalgia del ricordo.

Federico Fellini rievoca la sua adolescenza e uno dei suoi incontri fugaci e occasionali con il femminile, nel contesto della rigidità espressiva del fascismo, fatto di linee e posture rette, e rigorose andature militari.

Accompagnata dal Comandante della Milizia, dell'opera nazionale Balilla (per l'educazione fisica e morale della gioventù), ecco apparire una donna che, oggi, alla voce felliniano, i dizionari attribuiscono qualità fisiche di generosità e abbondanza nelle forme.

Il piccolo Federico, già noto per il suo talento grafico, da codesta donnona viene sollecitato a produrre e offrire in dono un disegnino, fintanto che il Comandante, spazientito, con un ovvio tono imperativo, invita lei, Federico, e forse altri ragazzi intorno, a lasciar stare.

Questo dialogo breve si interpone tra due movimenti protesi in avanti a comporre due traiettorie. Una linea curva e una retta obliqua delimitano uno spazio reale e immaginario, di uno spettacolo in cui i sensi, in tripudio, gareggiano tra di loro per imprimersi nella memoria. La vista si accende nel contrasto tra l'incarnato bianco della pelle e un nero vedovile. L'olfatto rincorre, estasiato, una fragranza delicata.

Manca il tatto, ingenuo, senza malizia: vince, non a mani basse, ma a braccia alzate. E si colloca sul gradino più alto del podio di una sensata esperienza, dove un gesto, già evocatore di presunti valori politici, svelava, sorprendente, a un adolescente pulsioni e desideri sconosciuti.

Sempre sprovvisto di ragione, il Fascismo, almeno per una volta, ha avuto davvero senso.

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